Il 26 ottobre 2020 è entrato in vigore il Decreto legislativo 9 giugno 2020, n. 68, recante nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini “cuoio”, “pelle” e “pelliccia”, noto tra gli operatori del settore come Decreto pelle.
Il provvedimento risponde all’esigenza di modificare la normativa nazionale costituita dalla legge 16 dicembre 1966, n. 1112, recante la “Disciplina dell’uso dei nomi cuoio, pelle e pelliccia e dei termini che ne derivano”, al fine di adeguarla alle disposizioni comunitarie.
In particolare, il Decreto pelle reca le disposizioni sull’utilizzo dei termini “cuoio”, “pelle” e “pelliccia” per i soli requisiti essenziali di composizione che i prodotti definiti con tali termini, nonché i manufatti con essi fabbricati, devono soddisfare per poter essere immessi sul mercato, ciò al fine di fare chiarezza sulla terminologia utilizzata nonché di eliminare potenziali ostacoli al buon funzionamento del mercato attraverso una chiara indicazione univoca dei materiali impiegati.
Il settore della pelle era in precedenza regolato dalla legge 16 dicembre 1966, n. 1112 che disciplinava l’uso dei termini “cuoio”, “pelle” e “pelliccia” con definizioni in parte superate dalle nuove soluzioni tecnologiche e dall’arrivo di nuove fibre o di nuovi materiali simili alla pelle e dall’uso di termini come “finta pelle”, “Alcantara”, “pelle sintetica”, “camoscio”, “pelle verniciata”, “ecopelle”, che si prestavano a generare confusione nel consumatore, con l’illusione che si trattasse di materiali derivanti dalla pelle o addirittura, come nel caso del termine “ecopelle”, di un prodotto in vera pelle conciato e lavorato con tecniche a ridotto impatto ambientale.
Il Decreto pelle è, quindi, intervenuto a fare chiarezza sulla situazione, ma anche a disciplinare il settore al fine di dare certezza al consumatore circa la reale composizione dei materiali utilizzati.
Il Decreto fornisce, infatti, all’Articolo 2 le definizioni di “cuoio” e “pelle”, “cuoio pieno fiore”, “cuoio rivestito” e “pelle rivestita”, “pelliccia”, “rigenerato di fibre di cuoio” e fa divieto di immettere sul mercato materiali (o manufatti composti da questi materiali) che non rispettino le relative specifiche.
Il produttore o l’importatore che fa uso, per i materiali o i prodotti, dei termini disciplinati dal Decreto pelli è “tenuto ad etichettarli o contrassegnarli” ed è responsabile dell’esattezza delle informazioni contenute nell’etichettatura, nel contrassegno o del documento commerciale.
Spetta invece al distributore verificare che i materiali che utilizzano i termini “cuoio” e “pelle”, o gli altri definiti dal Decreto, o i manufatti con questi fabbricati, siano dotati dell’etichetta e del contrassegno.
Etichetta e contrassegno che per il legislatore devono essere “durevoli, facilmente leggibili, visibili e accessibili”, mentre l’etichetta deve, inoltre, essere saldamente applicata anche mediante un supporto attaccato.
Tanto l’etichetta quanto il contrassegno possono essere sostituiti dal documento di trasporto o di accompagnamento quando i materiali ed i manufatti con essi fabbricati sono immessi sul mercato per essere dati in lavorazione a terzisti.
Il Decreto prevede sanzioni amministrative, a carico del produttore o dell’importatore, ma anche del distributore, per l’omessa etichettatura, per la non corretta etichettatura e per l’immissione sul mercato di materiali e prodotti non conformi, ma anche per l’uso dei termini “cuoio” e “pelle”, o degli altri termini previsti dall’Articolo 2, al di fuori della sua previsione normativa.
Le sanzioni, diverse a seconda che la violazione sia commessa da un produttore (o importatore) o da un distributore, variano da 700,00 a 3.500,00 Euro nei casi meno gravi e da 3.000,00 a 20.000,00 Euro in quelli più gravi.
La portata del divieto è particolarmente ampia e riguarda l’uso dei termini “pelle” e “cuoio”, sia come aggettivo sia come sostantivo, “anche se inseriti quali prefissi o suffissi in altre parole, ovvero sotto i nomi generici di “cuoiame”, “pellame”, “pelletteria” o “pellicceria”, ovvero derivati”.
Non sarà, quindi, più possibile usare termini come “pelle sintetica”, “ecopelle”, “similpelle” o “vinilpelle” per materiali non di origine animale, mentre per i materiali ottenuti da fibre di pelle secca, in cui la pelle è stata disintegrata meccanicamente o chimicamente in piccoli pezzi o polveri, sarà possibile utilizzare il termine “rigenerato di fibre di cuoio” a condizione, però, che la parte di origine animali sia superiore, in termini di peso, al cinquanta per cento.
Preposte all’accertamento delle violazioni sono le Camere di Commercio territorialmente competenti, l’Agenzia delle Dogane quando i prodotti sono immessi in libera pratica e la Guardia di Finanza in tutti gli altri casi, che potranno avvalersi per i controlli e le attività di accertamento della Stazione sperimentale per l’industria delle pelli e delle materie concianti e degli altri laboratori accreditati.