Di padre in figlio, gli strumenti giuridici per mettere a terra il passaggio generazionale in azienda
1 – Introduzione
Oggi prendiamo lo spunto da un recente post del nostro amico Claudio Consolaro (dottore commercialista e socio fondatore dello Studio Prassi) per parlare del passaggio generazionale in azienda e degli strumenti giuridici per attuarlo.
La definizione degli assetti proprietari e di governo dell’impresa in occasione del trasferimento dell’azienda (o della partecipazione societaria nella società di famiglia) e della governance ai figli costituisce, infatti, uno dei momenti più delicati della vita di impresa, dove gli interessi familiari e personali si intrecciano con quelli dell’attività imprenditoriale e dove può, quindi, innestarsi – come spesso accade – una pericolosa contrapposizione tra dinamiche diverse, tanto che si stima che solo poche aziende familiari sopravvivono dopo la prima generazione, mentre ancora meno sono quelle che arrivano, invece, alla terza.
Si dice, anzi, che il passaggio generazionale sia “il momento più delicato nella vita delle aziende familiari”, in quanto con il “passaggio di testimone” dal padre al figlio o ai figli si deve garantire la continuità dell’impresa individuando le modalità che le permettano di continuare a crescere con successo.
Il perseguimento di queste finalità richiede, ovviamente, l’approfondimento e la programmazione di diversi aspetti, sia strategici che tecnici, in modo che il passaggio sia programmato per tempo e, poi, attuato efficacemente.
2 – Il passaggio generazionale in azienda*
Il passaggio generazionale rappresenta una tappa cruciale nella vita di ogni azienda familiare ed è un momento che può definire il futuro dell’impresa, determinando non soltanto la continuità della gestione ma anche l’evoluzione stessa dell’identità aziendale. Ciò che accadrà alla tua azienda durante questa fase transizionale dipenderà in larga misura dalle decisioni prese e dalle strategie adottate molto prima che il cambio di comando diventi effettivo.
Prima di tutto, bisogna comprendere che il passaggio generazionale non è semplicemente una formalità amministrativa o un passaggio di consegne tra due membri della famiglia. Invece, rappresenta un’opportunità unica per rivitalizzare e rinnovare le fondamenta su cui la tua azienda è stata costruita. È un momento per rivalutare visione, missione e valori aziendali alla luce delle sfide e delle opportunità del mercato attuale.
Una delle prime questioni da affrontare è la preparazione del successore. Il passaggio generazionale riesce quando il futuro leader viene formato e preparato per assumere il controllo. Questo processo include non solo l’istruzione formale e le esperienze di lavoro pertinenti, ma anche l’introduzione graduale alla gestione aziendale, al processo decisionale e alla cultura aziendale. È cruciale che tale preparazione avvenga in modo organico, consentendo al futuro leader di guadagnarsi il rispetto dei dipendenti e di comprendere profondamente l’ecosistema aziendale.
Un altro aspetto fondamentale è la pianificazione anticipata. Il passaggio generazionale richiede tempo, spesso anni, per essere eseguito efficacemente. La pianificazione deve iniziare il prima possibile, con la creazione di un piano dettagliato che includa timeline, responsabilità e obiettivi specifici. Questo piano dovrà tener conto non solo delle questioni logistiche e finanziarie, ma anche delle dinamiche familiari e delle relazioni interne all’azienda.
La comunicazione gioca un ruolo chiave durante tutto il processo. Una comunicazione aperta e onesta tra tutti i membri della famiglia e le parti interessate aiuta a prevenire malintesi e conflitti. È importante discutere apertamente le aspettative, le preoccupazioni e le visioni del futuro dell’azienda. Questi dialoghi aiutano a costruire un forte senso di fiducia e unità di intenti.
Infine, ma non meno importante, il passaggio generazionale rappresenta un’opportunità per innovare. Le nuove generazioni possono portare nuove idee, competenze digitali e una nuova energia che può essere canalizzata verso l’innovazione.
* (Dott. Claudio Consolaro)
3 – Il patto di famiglia
Quando si parla di passaggio generazionale in azienda si pensa subito, tra i possibili strumenti per attuarlo, ai patti di famiglia.
Il patto di famiglia è “il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle diverse tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte l’azienda” o, in tutto o in parte, la propria partecipazione societaria “ad uno o più discendenti” (Articolo 768-bis Codice Civile).
Introdotto nel nostro ordinamento nel 2006, l’istituto del patto di famiglia assolve, nelle intenzioni del legislatore, alla funzione ed all’esigenza di approntare uno strumento idoneo a definire anticipatamente la successione nella titolarità dell’azienda o di una società, evitando che i pregiudizi che potrebbero derivare all’azienda a causa dei limiti posti dal diritto delle successioni.
Il patto di famiglia consente, infatti, di derogare al divieto dei patti successori, impedendo, quindi, che l’accordo sulla sorte dell’azienda o delle partecipazioni sociali, concluso dall’imprenditore in vita con uno dei suoi discendenti, sia considerato nullo ai sensi dell’Articolo 458 Codice civile (“E’ nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”).
Il patto di famiglia deve essere stipulato per atto pubblico dal notaio a pena di nullità e vi devono partecipare coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore.
Il patto deve prevedere la liquidazione, da parte dei beneficiari ai quali viene assegnata l’azienda o la partecipazione societaria, degli altri beneficiari con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote di legittima, a meno che non vi rinuncino in tutto o in parte.
I contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura, ossia ricevendo alcuni beni al posto del denaro, e i beni assegnati a favore degli altri legittimari (non assegnatari dell’azienda) “sono imputati alle quote di legittima loro spettanti”, cioè sono da considerarsi un anticipo sulla futura eredità.
I soggetti che dovessero risultare legittimari successivamente alla stipula del patto di famiglia, pensiamo al caso in cui l’imprenditore contragga un nuovo matrimonio o a quello dei figli nati dopo la stipula del patto, potranno, invece, richiedere ai beneficiari del patto di famiglia una somma pari al valore della quota di legittima che gli spetta per legge, ovvero della somma corrispondente alla quota di legittima pagata agli altri legittimari da quello al quale è stata assegnata l’azienda o la partecipazione societaria, aumentata degli interessi legali.
Il patto può essere impugnato dai contraenti per errore, violenza e dolo, con azione che si prescrive, però, nel termine di un anno, è può anche essere modificato dai partecipanti con un diverso contratto o recedendo dallo stesso, nel caso in cui il recesso sia stato espressamente previsto nel patto di famiglia.
Il patto di famiglia, pur godendo di un trattamento fiscale di favore, sconta, peraltro, numerosi limiti applicativi e criticità, in quanto:
- a) – richiede la partecipazione di tutti i soggetti che risultano legittimari al momento della sua stipulazione (coniuge e figli), cosa che spesso, invece, non si verifica. Lo strumento non è, quindi, utilizzabile in tutti quei casi in cui anche uno solo dei membri della famiglia si opponga o, comunque, non partecipi all’atto;
- b) – può essere utilizzato soltanto per trasferire l’azienda o le partecipazioni sociali ai discendenti e non anche, ad esempio, al coniuge o ai nipoti in linea collaterale;
- c) – i beneficiari (i discendenti ai quali viene assegnata l’azienda o la partecipazione societaria) devono liquidare agli altri legittimari una somma, il cui valore è determinato al momento stipula del patto, secondo i criteri della successione necessaria;
- d) – non consente di sperimentare le qualità imprenditoriali del discendente individuato per la successione in azienda, a meno di inserire nel patto di famiglia una clausola di recesso, che però dovrà essere sufficientemente dettagliata.
2) – Il testamento e la donazione
Il passaggio del timone di comando in azienda può, benissimo, essere attuato anche con il testamento, con scelta che potrebbe però rivelarsi inidonea a consentire un ordinato – e certo nei tempi – passaggio generazionale e ciò per i diritti (quota di legittima) che la legge riserva agli eredi legittimari, che quindi il testatore deve (o dovrebbe) avere ben presente nel momento in cui si determina a disporre con testamento della sua azienda o della sua partecipazione nella società di famiglia.
La volontà dell’imprenditore – come quella di tutti coloro che dispongono con testamento – incontra infatti i limiti che la legge pone a tutela dei familiari più stretti (gli eredi legittimari), ai quali viene riservata una parte (non derogabile) del patrimonio del testatore, che non può pertanto essere pretermessa, potendo diversamente l’erede chiedere che gli sia riconosciuta la quota che gli spetta, con conseguente riduzione delle disposizioni testamentarie lesive
Nel caso in cui risulti violato il diritto dei legittimari, c’è, quindi, il rischio che si venga a creare una situazione di incertezza, se non addirittura di stallo, nella gestione dell’impresa.
Analoghe considerazioni valgono anche per la donazione, ovvero per il trasferimento a titolo gratuito disposto dal capofamiglia in vita, in quanto l’erede leso nella sua quota di legittima può chiedere anche la riduzione delle donazioni lesive del suo diritto
Va, peraltro, detto che le donazioni effettuate dal defunto si possono ridurre soltanto se il patrimonio residuo del donante non è sufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari esclusi o lesi.
La donazione presenta, tuttavia, l’indubbio vantaggio di consentire il passaggio soltanto della nuda proprietà dell’azienda o della partecipazione societaria, potendo l’imprenditore riservarsi l’usufrutto, al fine di restare alla guida dell’azienda per tutta la sua vita.
Il testamento resta, comunque, lo strumento più diffuso nel passaggio generazionale delle aziende, spesso combinato, nelle aziende più strutturate, con altri strumenti, come la creazione di una holding e l’inserimento nello statuto della società di famiglia di clausole finalizzate a garantire una stabilità nella governance societaria.
3) – Il trust e la holding
Si tratta di due istituti che in passato, quanto meno per le imprese più strutturate, hanno dominato la scena, con finalità di protezione del patrimonio e nell’ottica di facilitare un passaggio generazionale ordinato.
Ovviamente, anche quando si pianifica il “passaggio del testimone” con il trust non si devono dimenticare i diritti dei legittimari, potendo, del resto, ricorrere al trust in associazione con la stipula di un patto di famiglia.
Con il trust, pacificamente ammesso nel nostro ordinamento, un soggetto (il disponente o il settlor) affida un patrimonio ad un altro soggetto (il trustee) affinché, sulla base di quanto previsto nell’atto istitutivo del trust, lo gestisca per determinati scopi e a vantaggio di uno o più soggetti determinati, ai quali dovrà essere ritrasferito al termine del periodo risultante dall’atto costitutivo.
Nell’ottica del passaggio dell’azienda alle nuove generazioni l’imprenditore, con il trust, può quindi incaricare un soggetto (il trustee) di gestire il patrimonio aziendale nell’interesse dei suoi eredi ai quali dovrà essere trasferito al termine di un certo periodo e in base a criteri predeterminati.
Il trust, per la sua duttilità, si presta ad essere utilizzato in tutte quelle situazioni nelle quali il patto di famiglia non consente di soddisfare interessi e finalità diverse da quelle del semplice passaggio di proprietà dell’azienda o della partecipazione sociale ai discendenti.
Con il trust è, infatti, possibile mantenere efficiente la gestione dell’azienda di famiglia, regolamentare la gestione e l’esercizio dei diritti relativi alle partecipazioni sociale, confidare nella certezza delle attribuzioni fatte, assicurare un reddito anche agli altri membri della famiglia.
Il ricorso al trust si giustifica, poi, in tutte quelle situazioni nelle quali il familiare al quale il capofamiglia intende passare il testimone nella gestione dell’azienda non sia un discendente in linea retta o in quelle nelle quali l’imprenditore, privo di figli, desideri comunque assicurare continuità alla propria impresa destinandola, ad esempio, ai nipoti o alla persona che, nel tempo, si dimostrerà più idonea a guidare l’azienda.
4) – Le clausole statutarie
Il passaggio del testimone in azienda può essere attuato anche inserendo delle specifiche previsioni nello statuto della società di famiglia, facendo quindi ricorso agli strumenti approntati dal diritto societario.
Per quanto riguarda la governance, lo strumento più immediato per il suo trasferimento all’erede designato consiste nella clausola statutaria che indica già il nome del futuro amministratore al verificarsi di una determinata condizione, come la morte dell’imprenditore o il raggiungimento di un certo limite di età da parte dello stesso.
La clausola consente di determinare e prevedere la successione dell’erede designato nell’amministrazione della società, senza una formale decisione dei soci sul punto, costituendo – in linea con le norme di diritto societario – una modalità alternativa di nomina dell’amministratore da parte dei soci, non deliberata dall’assemblea dei soci al venir meno dell’amministratore in carica, ma anticipata rispetto al momento della sua uscita dalla società.
Risulta, quindi, pienamente valida la clausola, sospensivamente condizionata alla cessazione dalla carica di amministratore del capofamiglia, che indichi già il nominativo del successore o che lo indentifichi con sufficiente precisione.
Potrebbe però verificarsi che, con la morte del capofamiglia, gli altri eredi vengano a detenere la maggioranza della società o, comunque, una maggioranza sufficiente per modificare lo statuto.
Per conferire stabilità alla designazione del successore nell’amministrazione della società è, quindi, opportuno inserire nello statuto un’ulteriore previsione al fine di escludere la possibilità di modificare o revocare la clausola di designazione del futuro amministratore, richiedendo, ad esempio, l’unanimità dei consensi o una maggioranza qualificata.
Il Codice civile, consente, poi di limitare anche la circolazione delle azioni e delle quote societarie mortis causa, sia pure nel rispetto dei diritti degli eredi del socio defunto, ai quali dovrà comunque essere assicurata la possibilità di liquidare la partecipazione, risultando una diversa previsione in contrasto con il divieto dei patti successori.
Le clausole più frequenti nella prassi sono la “clausola di consolidazione” e la “clausola di continuazione facoltativa”.
Con la “clausola di consolidazione” si prevede che, nel caso di decesso del socio, la sua partecipazione si accresca direttamente ovvero si possa accrescere, ove venga esercitata la prelazione prevista nello statuto, a quella dei soci superstiti in proporzione alla quota di partecipazione da ciascuno di essi detenuta.
Lo scopo della clausola è quello di assicurare la continuazione dell’impresa da parte dei soci superstiti, evitando l’ingresso nel capitale sociale agli eredi del socio defunto, ai quali dovrà, ovviamente, essere riservato il diritto a vedersi liquidato il valore della partecipazione.
Con la “clausola di continuazione facoltativa” viene invece assicurato agli eredi del socio defunto, come avviene per le società di persone, il diritto di ottenere la liquidazione della partecipazione oppure quello di subentrare nella società, eventualmente con il consenso degli altri soci.